Guida steampunk all’apocalisse: un primo assaggio


Negli ultimi post ho cominciato a parlare di un progetto che negli scorsi mesi ha assorbito la mia attenzione e la mia passione in ampia misura: l’edizione italiana della Steampunk Guide to Apocalypse di Margaret Killjoy, edita da Strangers in a Strangled Wilderness, il collettivo editoriale anarchico statunitense che pubblica anche lo stupendo Steampunk Magazine.

Il volume italiano, che ho tradotto e curato e che esce in libreria il 15 ottobre per i tipi di Agenzia X, è corredato da due appendici supplementari contenenti articoli tratti dallo Steampunk Magazine e da una bibliografia e webografia ampliata ed è illustrato da Colin Foran e da Nick Kole.

Per averne un assaggio, ecco qui la mia introduzione:

Introduzione
di reginazabo


I Serpenti erano giganti mostruosi, ma Nanabush li sconfisse con l’astuzia.
Poi dovette rifare cielo e terra.
Quando il nemico è molto forte, non basta vincerlo. Bisogna saper sognare un mondo nuovo.
Wu Ming 2, Pontiac. Storia di una rivolta

 

Come il cyberpunk un quarto di secolo fa, lo steampunk è oggi,
soprattutto negli Stati Uniti e nella rete, un movimento culturale in
sboccio, una tendenza estetica, uno stile di vita che prende le mosse
dalla moderna fantascienza di Gibson, Sterling (La macchina della realtà) e Stephenson (L’era del diamante),
per citarne solo alcuni, ma si spinge molto più indietro nella storia
della letteratura, attingendo ai mondi immaginati da Verne e da H.G.
Wells.

Come il cyberpunk, anche lo steampunk deve alle sue suggestive
atmosfere e alla sua estetica singolare la straordinaria capacità di
filtrare in altri media, di mescolarsi ad altre correnti affermandosi
nell’immaginario popolare nei modi più disparati, influenzando fumetti
di Miyazaki come Nausicaä della Valle del Vento e film come Brazil di Terry Gilliam e La città perduta di Jeunet e Caro ancor prima che l’etichetta “steampunk” cominciasse a diffondersi nel quotidiano.
E come il cyberpunk, lo steampunk è un movimento intimamente collegato
da fili resistenti e invisibili alla realtà contemporanea, una realtà
che il “punk a vapore”, ambientato in un Ottocento vittoriano già
informatizzato e altamente sviluppato o in una futura società
improntata all’ordine ipertecnologico e alla cortesia vittoriana,
trasfigura in un monito spettrale.
Viviamo in un mondo alle soglie della catastrofe ecologica, dove la
lotta per l’accaparramento degli utili e delle risorse ricrea in tutto
il pianeta bassifondi da Londra di fine secolo e i diritti
dell’individuo, conquistati con le unghie e con i denti dalle lotte
collettive degli ultimi duecento anni, cominciano nuovamente a erodersi
uno dopo l’altro. Per questo molti iniziano a considerare l’idea della
decrescita, di un rallentamento dei ritmi produttivi o anche di un
ritorno a condizioni protoindustriali, l’unica vera soluzione alla
scomparsa del mondo come lo conosciamo e all’affermazione definitiva di
una società dominata dal controllo e dalla paura, dallo sfruttamento
sostanzialmente schiavistico della manodopera e dall’iperproduzione
suicida ed ecocida. Questa tendenza si radicalizza in particolar modo
quando, rifiutando un mistico quanto improbabile ritorno al passato
preindustriale, si contamina con l’etica hacker e con il do-it-yourself
punk, formulando una critica al progresso ipertecnologico e proponendo
alternative autoprodotte e, soprattutto, aperte all’autogestione, per
soddisfare i bisogni quotidiani di sopravvivenza ma anche di svago del
mondo contemporaneo; un atteggiamento del genere è quello dello
steampunk, che, “mettendo le mani dentro” a computer e ad altri
strumenti tecnologici per ammantarli di fascino rétro, sogna un mondo
in cui le macchine siano fatte di ingranaggi e rotelle, molto più
gestibili e manipolabili delle componenti quasi esoteriche e
sicuramente imperscrutabili basate sul silicio e sui circuiti
elettronici.
Nascono così macchinari e congegni sorprendenti e spettacolari che
dietro le loro incantevoli spire di ferro battuto, gli inserti in
mogano e le elaborate profilature in ottone celano computer portatili,
mezzi di trasporto e strumenti musicali, riportandoci a un’era in cui
le macchine si potevano ancora inventare, costruire e sviluppare con le
proprie mani. Gli autori di queste creazioni non si raccontano
frottole: sanno bene che le loro manipolazioni non sono in genere altro
che una patina estetizzante (anche se c’è chi si spinge a costruire
motori a vapore veramente funzionanti:
http://www.kineticsteamworks.org); ma questa estetica si richiama alla
filosofia di fondo dell’approccio steampunk alla tecnologia: un
approccio che, rimandando a un’epoca in cui le macchine si potevano
ancora costruire nel capanno degli attrezzi e chiunque poteva nel suo
piccolo diventare un grande inventore, si spinge oltre il software
libero per rivendicare un hardware open-source – la possibilità di
manipolare gli strumenti tecnologici secondo le proprie esigenze e la
propria idea di bellezza senza doverli sostituire per il minimo
difetto, come accade per esempio all’iPod, sommo emblema del consumismo
avanzato.
Promulgata egregiamente dal collettivo Strangers in a Strangled Wilderness – editore sia di A Steampunk’s Guide to the Apocalypse
che di “Steampunk Magazine” (http://www.steampunkmagazine.com), la
rivista da cui sono tratti gli articoli contenuti nelle appendici
finali di questo volume –, del mondo vittoriano la cultura steampunk
rievoca spesso non solo l’estetica sfarzosa e il contegno decoroso (cui
alludono con grande ironia il linguaggio formale usato nella Guida
e la sua profusione di iniziali maiuscole, conformi al rigido ordine
gerarchico dell’epoca) ma anche gli aneliti di rivolta, a partire dal
luddismo e da celebri gesta anarchiche come il regicidio di Gaetano
Bresci. Questo però non significa affatto che lo steampunk sia un
movimento luddista o misoneista, e neanche che veda la ribellione
diretta come missione inderogabile: piuttosto, nel rievocare quei
percorsi di contrapposizione si ritorna con una punta di rimpianto a
un’epoca ancora aperta a molte scelte possibili, a un periodo in cui
l’idea di progresso si associava pur sempre all’utopia del benessere
universale ed era opinione comune che tutti i popoli della terra
potessero godere dei mirabili frutti dell’intelletto umano.
Il rimpianto di quel passato non va però confuso con la nostalgia: i
rimandi steampunk al fascino dell’estetica vittoriana non dissimulano
in alcun modo il fetore dei vicoli delle città ottocentesche, il
catarro dei tubercolotici, i massacri del colonialismo e la patina di
carbone sul volto dei minatori bambini, chiusi nelle miniere dall’alba
al tramonto sette giorni su sette, né di certo possono cancellare le
analogie con il capitalismo sfrenato del mondo odierno, che si libera
pian piano dei vincoli impostigli nei secoli per tornare a una libertà
d’azione conosciuta soltanto ai suoi esordi, durante la rivoluzione
industriale. Semmai, proprio nel sottolineare questa analogia
attraverso un gioco di specchi ironico e sinistro lo steampunk formula
la sua critica più radicale, e di certo questo è uno dei motivi primi
della sua affermazione in questa epoca storica. Ma c’è di più: oltre a
mettere in risalto il parallelo tra due momenti di trionfo del
capitalismo lo steampunk getta luce anche sulle differenze,
rammentandoci che se l’epoca vittoriana era solo l’inizio di un
percorso, quel percorso sta ora giungendo a termine e, avvicinandosi al
suo culmine, si sta scontrando con i suoi ovvi limiti, di natura fisica
e geografica. Inoltre, collocando elementi di quello che noi
riconosciamo come progresso (tecnologico) all’interno di un contesto
che per certi aspetti consideriamo antico e superato, lo steampunk
implicitamente suggerisce che neanche il nostro attuale presente – il
contesto generalmente ritenuto l’apice del progresso dell’umanità – ha
in realtà mai sorpassato gli incubi dell’antichità (le epidemie, le
carestie, la tortura o le Crociate, solo per citarne alcuni), e in
questo modo la critica agli eccessi della tecnologia e della modernità
si trasforma in un’aspra polemica che confuta, se mai ce ne fosse
ancora bisogno, il mito del benessere insito nell’idea di progresso.
Il lettore delle prime edizioni di Verne poteva ancora credere nelle
“magnifiche sorti e progressive” aperte dalla tecnologia all’umanità,
sognando di viaggiare fino alla luna, immaginando di esplorare luoghi
sconosciuti in mongolfiera o impersonandosi nell’animo ribelle del
capitano Nemo; oggi invece l’intero pianeta è non solo cartografato ma
scrutato costantemente dai satelliti e osservabile quasi per intero su
Google Maps, l’immaginario è saturo di viaggi interstellari, stanno
cercando l’acqua su Marte, e in fondo già nel 1973 Philip José Farmer
ci aveva rivelato nel suo Diario segreto di Phileas Fogg
che il capitano Nemo, assieme a tutti gli eroi ribelli, celava in
realtà un lato perverso e crudele.
Se nell’Ottocento il Panopticon, il carcere del controllo totale, era
stato appena teorizzato da Jeremy Bentham ed era lungi dall’essere
posto in atto, oggi le telecamere a ogni angolo di strada hanno
trasformato il mondo in un immenso sistema di controllo onniveggente,
superiore alle più estreme fantasie benthamiane, e le possibilità di
darsi alla macchia, un tempo aperte a briganti e a fuggiaschi d’ogni
tipo disposti a rinunciare ai benefici della “civiltà” pur di sottrarsi
alle sue rigide regole, sono annullate dall’ubiquità degli occhi
scrutatori della tecnologia avanzata.
Forse proprio per le loro possibilità ancora aperte, per i territori da
esplorare e le regole ancora da definire, web community e mondi
virtuali come Second Life sono popolati da nutriti gruppi
cybervittoriani, e in Italia è soprattutto grazie a questi ultimi che
la cultura steampunk sta iniziando a far breccia nell’immaginario
collettivo e a diffondersi tra hacker e autoproduzioni (è comunque
doveroso ricordare che una creazione steampunk ante litteram è nata
proprio nell’ambiente dell’hacking italiano: il legnatile, un computer
portatile realizzato agli inizi degli anni duemila con una vecchia
cassa di vini siciliani pregiati:
http://zaverio.org/laptop/legnatile/).
I mondi virtuali sono intrinsecamente luoghi aperti alle esplorazioni e
ai viaggi straordinari, accompagnati molto spesso da diari di bordo
come nei Grand Tour sette e ottocenteschi, e in Second Life un intero
arcipelago, Caledon, è popolato da una comunità steampunk, che sfrutta
magnificamente la libertà di creazione degli scenari tridimensionali
fornita dalla piattaforma. La possibilità di creare ambienti originali
consente ai partecipanti di rappresentare la commistione di estetiche
tipica dello steampunk, di costruire edifici o città – talvolta
volanti, grazie alla propulsione del vapore – e di visitarli in maniera
immersiva, eventualmente approfondendo anche attraverso le dinamiche
dei giochi di ruolo e della recitazione il coinvolgimento di questa
esperienza.
Oltre a dimostrare grande maestria nella creazione delle sue atmosfere
sontuose e decadenti, costellate di palazzi gotici, ingranaggi e
fantasiosi motori a vapore, la comunità steampunk di Second Life –
tutta agghindata con cilindri, monocoli e crinoline, senza mai
rinunciare a qualche vezzoso accessorio meccanico – organizza le regole
della propria convivenza sociale anche per quanto riguarda la
configurazione del software, tanto che a New Babbage, un’altra città
steampunk di questo mondo virtuale, è singolarmente disabilitata una
recente funzione, distribuita ormai da diversi mesi in tutta la
piattaforma, che permette di comunicare con gli altri utenti parlando
in un microfono; l’altro metodo in uso per comunicare fra giocatori, la
chat, non è certo più arcaico o meno cibernetico, e prediligendo uno
strumento vecchio a uno nuovo questa comunità finisce più che altro per
apparire vittoriana soprattutto in virtù del suo conservatorismo.
Il paradosso che si osserva in questo atteggiamento, come nelle
raffinate decorazioni applicate a modernissimi computer e chitarre
elettriche, getta luce sull’irrealizzabilità delle aspirazioni di
cambiamento degli steampunk, che riescono ad alleviare il loro disagio
nei confronti dell’esistente solo avvolgendosi in un alone estetico
fatto di ottone, legno, bit e prim, senza mai peraltro rinunciare a una
sottile ironia decisamente postmoderna. Altrettanta ironia si trova in
un’ulteriore soluzione di fantasia (ma non troppo) prospettata dalla
loro critica allo status quo: la via dell’apocalisse. Solo una
catastrofe generalizzata potrebbe infatti ormai ricondurci alla
condizione di indirizzare il progresso umano e tecnologico lungo strade
diverse da quella imboccata con la rivoluzione industriale, e la
comunità urbana autogestita che viene a formarsi dopo il grande
sconvolgimento mondiale nel fumetto di Warren Ellis e Paul Duffield FreakAngels
(http://www.freakangels.com/) si può dire steampunk anche in mancanza
di cappelli a cilindro, se si pensa agli orti coltivati sui tetti dei
grattacieli e ai macchinari autoprodotti, a vapore ma non solo, che
costellano la sua città, tutti costruiti per garantire una nuova vita
alla popolazione sopravvissuta.
Malgrado la tetra ambientazione postapocalittica, però, nel leggere sia
il fumetto sia le istruzioni ironicamente ottimistiche della Guida steampunk all’Apocalisse
si può cedere alla tentazione di provare un senso di speranza, la
speranza che qualcosa possa realmente accadere per arrestare la corsa
letale e disumanizzante da cui stiamo venendo travolti e che dal crollo
della matrice possano nascere nuovi frutti, autoprodotti con una nuova
tecnologia, meno criptica e più libera. Passando dall’apocalisse e
mettendo l’accento sul do-it-yourself, insomma, il punk a vapore può
immaginare un mondo dove, per una volta, urlare “no future” non sia più
strettamente necessario. 

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7 responses to “Guida steampunk all’apocalisse: un primo assaggio”

  1. Certamente, concordo. Ironia, ma non disimpegnata. Bisogna recuperare un certo agire politico, attraverso la letteratura, il giornalismo, la comunicazione in generale, mettere da parte quella tendenza ironica un po’ autoreferenziale e vana del postmoderno. Il punk è la medicina giusta. 🙂

    A presto,

    7di9

  2. @doktorgeiger, mi fa solo piacere che i testi che scrivo circolino: grazie!
    @iosononicola: è bello sognare per un attimo di tornare adolescenti 😉 e il bello è che lo steampunk ha fatto questo effetto a tanti di noi. sarà perché alla fine dice cose che stiamo tentando di diffondere da anni senza attribuirci mai un’identità precisa e perché solo con tutta l’ironia di cui sono intrisi questi testi riusciamo a trovare una categoria di appartenenza ideologica senza prenderci troppo sul serio? ma non è un’ironia di disimpegno: ci si impegna moltissimo, ci si schiera, ma se non ridiamo un po’ di noi stessi l’ansia da prestazione è sempre dietro l’angolo.
    e poi grazie a tutt* per i vostri commenti 🙂

  3. regina, ho riproposto oggi la tua introduzione nel mio blog all’interno di una serie di post dedicati a steampunk e fantascienza; ho dovuto rinviare ogni mio commento ad altro post, per ragioni di spazio; se questa riproposizione per qualsiasi ragione non ti fosse gradita, sono pronto a cancellare il post ciao

  4. Splendido passo. Acquisterò sicuramente il libro. Trovo l’ironia un accessorio indispensabile per inserire la matrice steam in un contesto di critica politica moderna, e quindi non posso che condividere tutto quello che viene detto in questa piacevole e densa introduzione.

    7di9

  5. Che bello leggere in italiano qualcosa di ben scritto sullo steampunk, che non abbia ESCLUSIVAMENTE a che vedere con GDR, letteratura fantastica, assurde nostalgie pseudo-vittoriane eccetera.
    Ma vabè, da una reginaZabo non ci si poteva aspettare menoXD