ADA Lab


Nell’ultimo post ho accennato a un progetto nascente, ormai mi tocca proprio descriverlo, tanto più che ci abito dentro e che l’ho inaugurato assieme a una ventina di amici cari, che la fase di beta testing è superata e che quindi non posso continuare a far finta che non esista.

Devo ammettere che dopo due anni di preparativi ho ancora qualche riserbo a scriverne, e a volte persino a parlarne, perché oltre a trattarsi di un progetto si tratta anche di una cosa fisica, di una casa che ho potuto affrontare come se stessi immaginando la grafica di un libro solo finché non ho percepito la sua fisicità, abitandola assieme a varie altre persone.

Di casa mia ho già raccontato, della precedente, del suo orto e della sua cucina, ma stavolta il posto dove abito c’entra marginalmente, perché quello che conta è il resto, l’altro luogo, quello al pianterreno, uno spazio, o anzi due, che spero siano sociali e aperti come due anni fa la Corte del Deposito95.

Lo spirito che aveva animato la Corte non si è dissolto dopo lo sfratto, anche grazie alla presenza in città del laboratorio di Elemento di Disturbo, e ora chi vuole sperimentare con le autoproduzioni culturali, tecnologiche, artigianali, culturali, orticole e chi più ne ha più ne metta, avrà almeno due posti in cui ficcare il naso in zona.

Così lo spirito della Corte, dopo un anno e più di riflessione e con qualche cambio di prospettiva, si stabilisce da ADA Lab: uno spazio con un bed&breakfast bioveg e con un infoshop/hacklab aperto alla condivisione di tecniche e saperi in un’ottica di autogestione e sperimentazione.

ADA Lab ha un sito, uno spazio su Twitter e dei progetti ambiziosi, da un laboratorio su Arduino a una rassegna sul postporno, da un corso di Linux per principianti alla presentazione di libri rilasciati sotto licenze libere fino alla creazione di un orto sinergico, e chi più ne ha più ne metta. Ma soprattutto ADA Lab è un luogo dove fare rete, per intessere relazioni fra sguardi critici e menti intraprendenti e per creare un frammento di mondo che appartenga a chi lo vive senza vincoli economici o linee di partito.

E poi ADA è Ada Byron, la prima persona che abbia mai scritto (a metà del XIX secolo!) un algoritmo per una macchina, la macchina analitica ideata da Charles Babbage, il difference engine che ha dato il titolo a uno dei pilastri dello steampunk, The Difference Engine di Gibson e Sterling, in italiano La macchina della realtà, un libro in cui Ada è un personaggio fondamentale (imperdibile questo fumetto dedicato a lei e a Babbage). In effetti ancor prima che avesse un nome o una forma, questa casa è nata nella mia testa come luogo steampunk, e a chi intitolare un laboratorio steampunk se non a Ada Byron, a questa programmatrice, a questa signora vestita di crinoline che parlava con una macchina di legno e ottone che nella sua vita non vide mai realizzata?

Per finire, ADA è anche un acronimo. Ognuno può scegliere come interpretarlo. A me un po’ di parole già vengono in mente: autogestione e autoproduzione, e antisessismo, antirazzismo, antisessismo, arrembaggio e anarchia per la A, decrescita e do-it-yourself, disordine, dissenso, detournement e diversità per la D. Ma ce ne sono molte altre: ADA Lab aspetta i suggerimenti di chiunque gliene vorrà dare.

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2 responses to “ADA Lab”

  1. Mi associo (ovviamente) all’urrà. Lo spirito c’è tutto. (E io che pensavo che Ada fosse il tuo nome.) Mi piace molto questa idea di un luogo dove la tecnologia si fonde al passato, con uno sfondo “green” (orti, veganesimi) che non guasta e anzi aggiunge valore. Sarebbe bello, per sintetizzare, l’organizzazione di un qualcosa (non chiedermi cosa, ancora non lo so; conosco le tecniche ma non il potenziale contenitore) che sintetizzi ulteriormente tutti questi apporti. Sul tema “post-porno”, per esempio, non so nulla: a naso non vorrei si traducesse in una pura autoreferenzialità tra il burlesque (che potrebbe sembrare vagamente “steam”) e atteggiamenti tratti da quel film (di culto, ma in fondo abbastanza mediocre) che è The Rocky Horro Picture Show. Ricordo in materia un workshop al quale partecipai, durante un meeting in cui mi occupavo di animare alcuni gruppi con tecniche creative. In quel caso, invece, ero un semplice partecipante, e il workshop riguardava la sessualità. Uscirono fuori considerazioni molto banali, ingessate, alla lunga noiosissime; non ho mai creduto nell’intellettualizzazione del sesso. Questo non significa che sia prevenuto. Significa che sono scettico e appunto per questo aperto alle proposte che di certo saranno interessanti, anche perché in materia mi sembra di aver notato una certa passione, e dalla passione penso possa nascere del buono. Insomma tanta carne al fuoco. Anzi, tofu.