Mia madre non era femminista, ma per certi versi mi ha cresciuto come se lo fosse.
Eppure quando mi ha fatto mica è stata a pensarci su. E prima, ventenne nel ’68 in una grande città, quelle lotte le ha viste solo da lontano, chissà se con curiosità o con paura.
Di mia madre, da quando non c’è più, ricerco memorie manuali, i suoi insegnamenti pratici, e i suoi sguardi. A lungo, mentre era viva, ho cercato in lei aneliti di ribellione, di indignazione politica. Pur avendo un profondo senso etico della giustizia, le scelte più drastiche che abbia mai compiuto sono sempre rimaste rinchiuse nella sua immediata sfera privata. Sfatata ahimè da tempo l’idea che il sentire libertario, egualitario e critico sia universale, ho smesso anche di cercare quegli aneliti in lei, ma in realtà comincio a intravedere, oggi più che mai, l’impulso di sopravvivenza, se non di resistenza, e senz’altro la gioia di vivere in maniera autonoma che ha mosso gran parte della sua vita, e che di certo ha dato un’impronta al suo rapporto con me.
Temo di cercare brandelli consolatori di autocompiacimento in questo ragionamento, ma mi pare di restare lucida ricordando che comunque sono cresciuta molto normalmente, da brava bambina borghese con le bambole, i vestitini rosa, i sorrisi vezzosi e tutte le nevrosi del sogno d’amore. E fin da subito le mie pulsioni di critica convinta e a suo modo destabilizzante non sono stati benaccetti, osservati quasi con sgomento quando non espressamente repressi. D’altra parte, il mio spirito critico e la mia indipendenza non sono stati castrati, ho potuto studiare e viaggiare e anche godere del lusso, ancora minorenne, di chiedermi perché mai alla mia amica non fosse permesso di partire con me in viaggio in Europa. A sedici anni, consideravo i suoi genitori retrogradi.
Ora, una ventina d’anni dopo, il periodo della condivisione di rabbia, incertezza, solitudine e ingrippi con le mie coetanee è quasi chiuso, almeno temporaneamente. Madri di famiglia quasi tutte, poche si chiedono ancora se l’esperienza di fare un figli* valga davvero la pena di essere vissuta o se non sia meglio prendersi mezzo anno di vacanza per qualche altro genere di fecondità. La maggior parte delle mie coetanee ha fatto una scelta di famiglia nucleare che si è trovata gioco forza (quando più, quando meno, naturalmente) ad accettare/condividere, e capire i motivi di questa scelta, da parte di donne consapevoli, mi piacerebbe, considerato che in molte abbiamo sognato prima o poi nella nostra vita di crescere un figli* all’interno di una comunità allargata. Capire perché questo succeda tanto di rado**, e come mai la presenza di prole sia collegata a un parziale isolamento del breeding pair, leggere il rapporto con la maternità delle figlie del femminismo degli anni ’60 e ’70, delle donne nate in quegli anni e cresciute in una cultura in drastico mutamento, sarebbe un passo importante per capire come sia possibile che certi diritti affermati con forza e fatti valere grazie al femminismo possano mai essere rimessi in discussione. E come sia possibile dubitare che il femminismo oggi sia ancora necessario, e come. E per fortuna che molte in questo paese lo stanno riaffermando, e per fortuna che la storia delle lotte femministe continua a essere raccontata in nuove, egregie forme.
Vogliamo anche le rose, il nuovo film di Alina Marazzi, mi ha fatto ridere e commuovere, e in certi momenti avrei avuto voglia di riuscire a piangere le lacrime che salivano agli occhi, di urlare di gioia per quello che le nostre madri e sorelle maggiori hanno fatto prima di noi per noi.
Cercavo nello splendido montaggio il volto di mia madre che non è stata femminista e di mia zia che invece lo è stata e che qualche mese fa mi ha regalato la sua collezione*** di libri femministi degli anni ’70. Non ho cercato quello della loro madre, che non è mai uscita dalla gabbia di violenza e asservimento che le fu cucita addosso al paesello, ma ho cercato costantemente quello delle sorelle che ho incontrato lungo la via. Queste sorelle le ho ancora accanto, e so che ne incontrerò altre, perché nessuna di noi vuole che si perdano quei pochi diritti fondamentali che senza il femminismo non ci sarebbero stati e, mi auguro, aspiriamo a qualcosa di più che alla semplice resistenza all’oscurantismo imperante. Vogliamo ancora anche le rose.
** ho la vaga sensazione che possano entrarci il precariato, la
controriforma sociopolitica in atto, il controllo, la politica della
paura.
*** nei prossimi giorni alla collezione si aggiungeranno i libri che ho inserito manualmente.
per finire, grazie a espanz, soprattutto per avermi fornito le prime informazioni su questo film, a Betty per il kit adotta un consultorio e a FikaSicula, soprattutto per questo, che mi ha dato il coraggio di parlare del mio privato (nonostante senta da sempre sulla pelle quanto sia intensamente politico).
6 responses to “mia madre non era femminista”
Grazie.
🙂
Un abbraccio
grazie a tutte voi: è bello scoprire che riesco a comunicare anche solo un briciolo di tutte le parole che mi frullano dentro.
grazie per i tuoi pensieri sul film, mi restituiscono il senso (uno dei tanti) di averlo fatto. ciao
sono contentissima che ti sia piaciuto il documentario, e grazie per questo tuo articolo, mi hai commossa.
Un abbraccio
ed è bello quando ne parli perchè non è più solo tuo, ma di molte.e neanche mia madre era femminista.