Bisogna dirlo: io di fronte al cyberpunk sono praticamente inerme. A ogni trovata nanotech, a ogni episodio di singolarità, a ogni metaverso che prende vita nelle pagine di un libro esulto come se quello fosse il primo romanzo di fantascienza che leggo, anzi, come se non stessi neanche leggendo. Entro nel romanzo, mi faccio trasportare, perdo la cognizione del tempo e dello spazio.
Così quando ho letto che l’ultimo romanzo di Rudy Rucker era liberamente scaricabile, mi ci sono fiondata e, stampato il malloppo, ho passato gli ultimi giorni a seguire le vicende di una terra pervasa dalle nanotecnologie, minacciata di scomparire per fagocitosi da parte dei nant, incontrollabili nanoparticelle capaci di autoriprodursi divorando in pochi secondi tutta la materia che hanno a disposizione e di trasferire gli esseri umani in un mondo virtuale in cui proseguire la propria vita, con gli opportuni tagli ai soggetti e alle tendenze politiche meno accondiscendenti.
Per il cyberpunk non è granché nuovo, ma la costruzione dell’orphidnet come luogo postindividuale è ammaliante: pian piano prende forma sotto gli occhi del lettore un metaverso fatto di nanomacchine che colonizzano e mettono in comunicazione ogni oggetto dell’intero pianeta rendendo superfluo qualunque hardware e visibile qualsiasi entità; pian piano si viene sopraffatti da un’inquietudine crescente di fronte a un mondo concreto in cui il concetto stesso di individualità viene a mancare, in cui ognuno fa parte di un reality show totale, in cui ogni pensiero, ogni esperienza possono essere registrati e racchiusi in un metaromanzo e memorizzati da chiunque altro.
La deriva fantasy del mondo parallelo, il mondo degli angeli o degli elfi, in effetti una realtà parallela dove si comunica per telepatia e le macchine non sono necessarie, è parecchio fricchettona, ma costruita bene e più che giustificata nel quadro fanta-scientifico del romanzo. Come capita spesso, bisognerebbe evitare di leggere il finale, improntato alla banalità dell’amore che vince su ogni cosa: non fosse per quello, starei ancora applaudendo a questa visione distopica di nanotecnologia totalizzante che è stata capace di tenermi con il fiato sospeso dalla prima alla penultima pagina.
One response to “postsingular”
Adoro (adoravo?) il cyberpunk anni 90 poi mi sembra che si sia un pò persi il sapore decadente. L’ultimo Gibson (l’accademia dei sogni) mi è piaciuto solo però era cybepunk senza esserlo.