Microluci


Aspettando di riprendermi dai miei lunghi giri e dalla vertigine spaziotemporale che me ne deriva sempre, copio questo brano dal Grande libro dei bug:

In quasi tutti i linguaggi di programmazione l’esecuzione di un programma implica un rocesso di traduzione di istruzioni da un livello simbolico ed orientato alla comprensione umana ad uno numerico effettivamente eseguibile a livello di hardware, di segnali elettrici che vanno e vengono tra memorie e CPU, di motori e dischi che si accendono e spengono etc. Insomma, in ultima analisi, un programma è una sequenza di comandi che accendono e spengono roba. Un bug in questo processo di trasformazione implica che un programma apparentemente “giusto” (per un umano) si comporti in maniera sbagliata: si tratta di un vero e proprio errore di traduzione. D’altra parte, agli errori di traduzione siamo abituati… È storica la prima versione della traduzione del famoso "Neuromancer" di William Gibson, romanzo capostipite della corrente letteraria fantascientifica nota come cyberpunk. Infarcito di slang e termini tecnoinformatici, non poteva che risultare incomprensibile in un' epoca in cui era difficile trovare traduzioni sensate anche per i manuali dei frullatori elettrici. In particolare, tra i tanti divertenti nonsense c'è quello delle "microluci", utilizzate nel romanzo come veicoli per un attacco notturno ad una base nemica. Il procedimento per capirci qualcosa in questi casi è un classico reverse engineering semantico: un traduttore che non sa che pesci pigliare, perché e quando dovrebbe scrivere "microluci"? Ad esempio, quando l'originale è
"Microlights". Da qui in poi è facile: in Inglese "light" oltre che "luce" vuol dire "leggero", quindi queste "microlights", dal contesto, sono piccoli veicoli volanti ultraleggeri, ovvero deltaplani a motore*. Chi l’ha detto che la Nobile Arte del Debugging è utile solo per le Macchine?

* Più recentemente, abbiamo visto dei “file systems” tradotti con “file di sistema”. Forza, signori traduttori, non è così difficile… i file di sistema sarebbero “system files”, no?

Peccato non sapere quale sia l'edizione di cui si parla, e chi il traduttore. Una cosa è certa: i traduttori lavorano male perché sono pagati male e costretti a tradurre troppo in fretta, e come Bianciardi insegna, questa non è una novità degli ultimi tempi.

,

3 responses to “Microluci”

  1. Concordo con Laura sul fatto che un compenso infimo non giustifica una traduzione fatta con i piedi (più che altro, un compenso infimo dovrebbe giustificare l’indignazione e le proteste, come di fatto fa ahimè senza grossi cambiamenti). Perché nel momento in cui si accetta liberamente una traduzione entra in gioco la professionalità che distingue il traduttore serio dall’improvvisato (e infatti chi s’indigna per i compensi? Il traduttore serio. L’improvvisato fa spallucce). E per “improvvisato” intendo non il traduttore che fa due o tre errori in tutto il libro, ma quello che fa un’ecatombe (tipo uno sfondone a paragrafo, oltre a raccapricci vari – l’ho visto con i miei occhi!). Come per molti altri settori, anche qui forse la qualità è un’arma contro le “cineserie”. Soprattutto se accompagnata da visibilità.

  2. Pubblicato il post, mi rendevo conto di non apprezzare affatto i traduttori che traducono male perché hanno fretta. Io penso che sarebbe meglio che ci si opponesse tutt* assieme ai tempi e alle modalità del nostro lavoro. Purtroppo a volte un lavoro si accetta anche se non se ne sa abbastanza, e spesso e volentieri con la redazione non è dato parlare, né per sottolineare che certe scelte traduttive vanno rispettate, né per evidenziare eventuali dubbi. Però guarda questo, sulla mia indignazione per gli errori evitabili: http://reginazabo.noblogs.org/post/2007/05/31/18-tradurre-o-non-tradurre
    Non credo che “microluci” fosse un errore inevitabile, e non c’è bisogno di saperne di fantascienza cyberpunk per sapere che “light” non vuol dire solo “luce”.

  3. “Una cosa è certa: i traduttori lavorano male perché sono pagati male e costretti a tradurre troppo in fretta”: sottoscrivo in pieno che i traduttori siano pagati male e costretti a lavorare in fretta, ma questo non giustifica le traduzioni fatte con i piedi né gli errori grossolani – temo di non essere d’accordo con il vecchio slogan “a salario di merda lavoro di merda”. Ogni traduttore ha (o dovrebbe avere) la capacità di rendersi conto quali sono i settori in cui non capisce un’acca. Personalmente non mi metterei mai a tradurre un romanzo per fan di heavy metal o la fantascienza più tecnologica, campi che appunto non mastico e dove rischierei di capire – e tradurre – fischi per fiaschi. Ed è buona norma, quando si incappa in qualche frase ostica perché non si conosce bene l’argomento, rivolgersi a qualcuno più esperto (nessuno riesce a essere più rompipalle di un traduttore in cerca di consulenze) o quanto meno, se proprio il compenso è così infimo da non giustificare ulteriori ricerche, segnalare almeno al revisore i propri dubbi sul termine “sconosciuto”. Questione di correttezza professionale, e se proprio il compenso è troppo basso o l’argomento troppo ostico, molto meglio rifiutare il lavoro a favore di qualcuno che lo possa/sappia affrontare meglio. Se si vuole affermare la professionalità del traduttore, bisognerebbe prima di tutto lavorare in maniera professionale, e non è un disonore non sapere tutto di tutto…