Narrazioni resistenti


Come annunciavo un po’ di tempo fa, il fine settimana del 28-29 novembre a Milano ci saranno un bel po’ di cose da fare: oltre a SLAM X, la due giorni di reading e performance per una città diversa organizzata in Cox18 (ecco il programma provvisorio), con Collane di Ruggine parteciperemo anche a un dibattito sul futuro della fantascienza intitolato "Steampunk: tempo, velocità, progettualità" assieme ad Antonio Caronia all’AHAcktitude ’09.

Il discorso, che ha preso le mosse dalla chiacchierata fatta all’Hackmeeting di quest’anno, trae ispirazione dalle tendenze più politiche dello steampunk per individuare immaginari e generi letterari adatti a rivendicare lo spazio, il tempo e il corpo in chiave do-it-yourself. Ma ecco il manifesto dell’incontro:

“ [Steampunk è un termine] coniato alla fine degli anni ottanta, in analogia con cyberpunk,
per descrivere il sottogenere moderno della fantascienza in cui gli
avvenimenti si svolgono su uno sfondo ottocentesco. [Lo steampunk è] un
fenomeno essenzialmente statunitense, spesso ambientato in una Londra
che è vista allo stesso tempo come profondamente aliena e intimamente
familiare, una specie di corpo estraneo ma profondamente incistato
nell’inconscio USA. (…) È come se, per un certo gruppo di scrittori di
fs, la Londra vittoriana fosse arrivata a rappresentare una di quelle
svolte nella storia in cui le cose possono prendere una direzione o
quella opposta, una svolta che ha un’importanza particolare per la
stessa fantascienza. Fu una città fatta di industria, di scienza e di
tecnologia, a fare da culla al mondo moderno, e fu una città
claustrofobica da incubo quella in cui emerse il prezzo di sudiciume e
di squallore pagato per questa crescita. Tutto ciò lo sapeva bene
Dickens, il grande e originale scrittore steampunk che, sebbene non
abbia mai scritto una riga di fantascienza, è all’origine di molte
delle tradizioni di quest’ultima".

(Peter Nicholls, voce “Steampunk„ in The Encyclopedia of Science Fiction, ed. by J. Clute and P. Nicholls, Orbit, London 1993; trad. di A. Caronia).


Chissà se Nicholls sarebbe d’accordo con questa analogia, ma può essere
che una delle ragioni che stanno determinando una relativa ripresa
dello steampunk negli anni zero del secolo XXI stia proprio nella
consapevolezza che stiamo vivendo una svolta della storia, “ in cui le
cose possono prendere una direzione o quella opposta„. SteamPunk Magazine, col suo significativo sottotitolo “Putting the Punk back into Steampunk„ (http://www.steampunkmagazine.com)
esprime così questo tentativo di fondare lo steampunk come cultura (o
sottocultura) al di là del genere letterario, come già accadde, una
ventina d’anni fa, per il cyberpunk:

“BEFORE THE age of homogenization and micro-machinery, before the
tyrannous efficiency of internal combustion and the domestication of
electricity, lived beautiful, monstrous machines that lived and
breathed and exploded unexpectedly at inconvenient moments. It was a
time where art and craft were united, where unique wonders were
invented and forgotten, and punks roamed the streets, living in squats
and fighting against despotic governance through wit, will and wile.„


In Italia, il blog e le edizioni Collane di ruggine si presentano così:


“La ruggine ha un colore caratteristico, alcuni tramonti sono del
colore della ruggine. La ruggine forse sarà anche quello che
ritroveremo al tramonto della nostra civiltà di macchine. Non è detto
che il mondo sarà brutto color ruggine con una predominanza di verde,
la vegetazione incolta penetrata ovunque. Ruggine e verde e silenzio. A
parte il fatto che noi ci saremo spenti in qualche
maniera atroce, non dovrebbe essere un brutto scenario. Ci ritroviamo
quindi a scrivere ruggine perché questo è il futuro che immaginiamo.
Perché la ruggine è quanto rende effimere le nostre sofisticate
macchine. Senza guanti e senza mascherina tagliamo e cuciamo,
raccogliamo pezzi di ferro erosi e li incolliamo in uno strano pupazzo
meccanico. Sporcarsi le mani di ruggine, imparare a conoscerne la
composizione chimica forse non basterà a farci sopravvivere, ma almeno
ci farà sentire meno inutili".

Se dal punto di vista letterario lo steampunk non è che una forma
particolare di ucronia (sottogenere non molto prolifico, in passato,
nella fantascienza, ma di recente assurto a una certa popolarità – per
quanto effimera la si possa prevedere), la sua estensione a tema
culturale o addirittura a stile di vita solleva problemi che vanno al
di là del semplice meccanismo del “what if…?„ In questo senso lo
steampunk, da un lato, andrebbe collegato all’emergere della categoria
del tempo nel panorama politico e culturale della contemporaneità. Non
solo perché, in qualche modo, esso rappresenta una reazione alla
forsennata accelerazione dell’innovazione tecnologica, all’impero della
velocità che caratterizza l’economia del just in time
e il capitalismo della conoscenza – e rivendica dunque una sorta di
“diritto alla lentezza„ ben rappresentato dall’estromissione (reale e
immaginaria) dell’elettricità dalle fonti di energia disponibili. Ma
anche perché prende atto (almeno implicitamente) della totale scomparsa
della categoria del “futuro„ che aveva caratterizzato
l’immaginario del capitalismo industriale e l’ideologia
positivistico-progressista che anche i marxismi “ufficiali„
(socialdemocratico e comunista) avevano adottato. In un eterno e
dilatato presente qual è quello della società delle merci immateriali
non c’è più spazio per la classica dimensione del futuro, per
l’esercizio della previsione e le pratiche di addomesticamento
dell’imprevedibile che questa assicurava: le ragioni del “possibile„
contro quelle dell’“esistente„ migrano quindi per forza di cose al
passato, o a una torsione del “presente„ costretto a farsi carico di
tutta la temporalità, e perciò costantemente ibridato, riletto,
ridefinito.

Il secondo tema che appare centrale nello “steampunk sociale„ è quello del corpo,
e in genere della materialità: la considerazione e il ritorno a questa
dimensione sono una reazione alla (reale o immaginata) scomparsa del
corpo nella cultura cyberpunk, e segnano la rivendicazione di una
ritrovata unità di “arts and crafts„ (per dirla con lo SPM), che non
esclude però il conflitto, anzi lo rilancia. Il corpo dello steampunk è
altrettanto contorto, ibridato, mutevole, quanto quello della migliore
tradizione underground. Se il rischio (soprattutto in combinazione con
le tematiche ecologiste) è a volte quello di una visione nostalgica e
idilliaca del rapporto uomo/natura, un buon antidoto è però quello
della terza importante componente dello steampunk sociale: quella della
catastrofe, del disastro. Questa è la componente che più
distingue lo steampunk sociale da quello puramente letterario, e segna
avvicinamenti e alleanze a tutta prima curiosi e imprevedibili, per
esempio con l’immaginario ballardiano.

Per tutti questi motivi lo steampunk ci richiama con acutezza a una riconsiderazione di tutta la dimensione del progettare,
che valorizzi (ovviamente) la dimensione del DIY, dell’autogestione e
dell’autonomia (in sintonia con l’etica hacker), ma che sia anche
capace di sfidare la teoria economica e politica a rinnovare le proprie
categorie rimescolando e “immaginando„ più di quanto sinora non abbia
fatto.

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One response to “Narrazioni resistenti”

  1. Interessantissimo…peccato che sabato non possa esserci, sono a Trieste, ospite del Science+Fiction…sigh.

    Se registrate in qualche modo l’incontro, fatemi sapere!

    Ci si vede domenica 29 al Cox, però!