Occupare tutto!


They say we don’t know what we want, but here we are
making our decisions without bankers or politicians
intervening in our lives. This is is what we want.

da Occupy! Your Guide to the International Occupation Movement of 2011

Una cupa sensazione mi avvolge da ieri pomeriggio, da quando su Twitter hanno cominciato a susseguirsi con il tag #15ott le notizie che già mi aspettavo: un corteo di centinaia di migliaia di persone spezzato in due, i lacrimogeni, gli scontri, le camionette della polizia che sfrecciavano tra la folla, evidente tentativo di seminare il panico.

Negli ultimi tempi mi sento sempre più come Cassandra, mentre osservo una “crisi” preannunciata dagli anni novanta, mentre vedo le proteste creative di altri angoli del mondo riflettersi in Italia con le solite modalità di piazza che conosciamo bene e da cui dovremmo avere iniziato a guardarci già ben più di dieci anni fa. Alcune parti del movimento in generale lo hanno capito, ed escogitano strategie di lotta creative che riescono a far breccia in questa nostra mancanza di futuro molto meglio del solito corteo sindacale, con o senza “servizio d’ordine”.

Scendere in massa nelle strade per spostarsi dalla piazza A alla piazza B non ha più senso: lo zoom delle telecamere è capace di raccontare un’altra storia, e i nostri numeri, ammassati tutti assieme, servono solo come carne da macello più o meno mediatica e mediatizzata. Soprattutto, sono molto meno efficienti che sparpagliati, a organizzare mille iniziative diverse per riprenderci gli spazi che nella nostra generazione (e pure in altre) non abbiamo mai avuto senza conquistarli e tenerli con le unghie e con i denti.

Non sto parlando di restare davanti a un monitor a sottoscrivere petizioni online con quella comoda e consolatoria forma di attivismo che in rete viene chiamata clicktivism, ma credo che i cortei non siano meno consolatori. Quel che dobbiamo fare, e che alcun* di noi già fanno, è inventare forme di lotta sempre nuove, che i media mainstream non siano in grado di raccontare e spettacolarizzare. Quel che dobbiamo fare è occupare tutto: i linguaggi e gli orti, i servizi online e le case abbandonate, il nostro tempo rubato, il nostro lavoro alienato, la nostra gioia. Rifuggire insomma lo scontro frontale con uno stato di cui è rimasta in vita solo la scorza difensiva/repressiva (tutto il resto è subappaltato) per ricavarci lo spazio che spetta a queste nostre generazioni senza futuro.

Tra l’altro io a Roma ieri non c’ero: avevo sentito odore di trappola, ma soprattutto in questo periodo sto dando i tocchi finali a un progetto che sto preparando da più di un anno. Qui ci sono gli appunti di lavoro, poi prossimamente racconterò anche cos’è e come si inserisce in questa idea di rivoluzione diffusa e carnevalesca.


3 responses to “Occupare tutto!”

  1. Strategie creative. Mmh, certo: sarebbe bello, però, vedere un link soprattutto su questa espressione. Le altre le conosciamo e stra-conosciamo. Tempo addietro, con alcuni illuminati, si pensava a una nuova forma di politica, fatta non più da burocrati bensì da “gruppi fluidi di individui creativi” — interessante, no?

  2. mi trovo pienamente d’accordo con il tuo pensiero. la manifestazione di piazza ha un senso solo se crea uno stato di permanenza della richiesta, non come mero atto di forza finalizzato alla raccolta di una sufficiente massa critica per portare avanti una piattaforma precostituita. abbiamo avuto la triste esperienza di genova epppure sembra che nulla sia cambiato, a parte la dimostrazione da parte di maroni e sodali della loro palese incapacità di gestire una repressione “seria”, tale da spaventare e annichilire le parti più creative e “pacifiche” del movimento (fini seppe fare di meglio, nel 2001). ora vi è una buona fetta di coloro che erano in piazza san giovanni il 13 dicembre e sabato scorso che sono ancora più carichi di pulsioni nichiliste e desiderosi di dare un senso alla propria esistenza senza speranza, fosse pure spaccando una vetrina. in questi dieci anni è cambiato molto nella visione del mondo e delle sue sorti. complici il 9/11, la guerra infinita, i disastri ambientali e umani, non vi è più una narrazione positiva condivisa del futuro come opportunità. ora prevalgono (anche se esistono ancora delle sacche di quella che chiamerei “resistenza del sogno”) visioni diverse, infinite, che variano dal “non ci resta molto da salvare” al “non ho più un futuro”. credo che mettere come base di partenza, come strategia generale la ricostruzione della speranza e del desiderio sia importante per poter applicare la tattica da te proposta nel tuo post. vorrei avere il modo di andare a visitare i luoghi del conflitto nel mondo, la Val Susa in particolare, per vedere se esiste ancora una scintilla d’utopia, che sono convinto sia l’unica vera forza propulsiva della speranza. vorrei avere il modo di usare la mia creatività per creare azione e con l’azione creare futuro e desiderio. chissà se ce la farò… qui mi sento un poco solo.

  3. reggi, son d’accordo su molte cose, ma il problema è che si voleva occupare la piazza.e piazza san giovanni non è certo una piazza qualunque. si voleva creare una situazione simile a quella degli altri paesi del mondo. e questo probabilmente avrebbe reso possibile far entrare in lotta persone (come quelle che erano in piazza ad aspettare la “sfilata” e che hanno contestato e cacciato pannella, tanto per dirne una) che normalmente non lo fanno o che non lo fanno più da tanto tempo.
    bisogna capire e decidere come si vuole lottare: spaccando tutto?posso starci pure io, ma san giovanni, per quanto novat io possa essere, non mi interessa come obiettivo. non ne vedo l’utilità. e se penso che quello sia un corteo del cazzo, approfitto della polizia concentrata lì e vado a sfasciare luoghi di gestione del potere che voglio scardinare. siamo ancora all’attacco del blindato?se è così, mi pare sia un fallimento, ed anche più retro del corteo.